IL GIUDICE DI PACE 
 
    Nella causa sub n. 180/2010 promossa da M. L., con 1'Avv.  Cosimo
D'Alessandro, contro la Prefettura - Ufficio Territoriale del Governo
di Udine, il Giudice di Pace di Latisana in fatto premette: 
    Il giorno 09.07.2010 una pattuglia di carabinieri della compagnia
di Latisana contestava al Sig. M. L., mentre si  trovava  alla  guida
regolare dell'autovettura targata ........., la violazione  dell'art.
186 comma 2  lett.  a)  C.d.S.  perche'  sottoposto  all'accertamento
alcolemico, veniva rilevato in entrambe le prescritte prove un  tasso
di 0.59 g/1. 
    I militari procedevano al contestuale  ritiro  della  patente  di
guida. 
    Il  Prefetto  di  Udine,  con  propria  ordinanza   n.   36274/10
notificata il 31.07.2010, confermava l'operato  della  pattuglia  dei
carabinieri e disponeva la sospensione della patente di guida per  la
durata  di  mesi  3  a  decorrere  dal  09.07.2010  quale   data   di
accertamento dell'illecito; 
    Il M., a mezzo del suo difensore, impugnava  tempestivamente  con
ricorso dd. 10.09.2010 la citata ordinanza prefettizia, chiedendo: 
        in via preliminare: l'immediata sospensione perche' causativa
di gravi ed irreparabili danni; 
        nel merito: la dichiarazione di nullita' e/o  l'annullamento,
con rifusione delle spese. 
    In istruttoria: chiedeva che venisse ordinato all'Amministrazione
resistente di depositare copia di  tutti  gli  atti  di  accertamento
compiuti dai  Carabinieri  e  posti  a  fondamento  della  contestata
violazione dell'art. 186, 2° comma lett. a) del C.d.S.; 
    Il ricorrente, con  il  proposto  ricorso  muoveva  all'ordinanza
prefettizia sostanzialmente due critiche. 
    Con la prima si lagnava del fatto di non essere stato messo nelle
condizioni di comprendere l'intervallo temporale  intercorso  tra  la
prima e seconda  misurazione  del  tasso  alcolemico  e,  quindi,  un
difetto di  motivazione  con  conseguente  ricaduta  sul  diritto  di
difesa. 
    Con la seconda invece assumeva che, a suo giudizio,  entrambe  le
prove avevano dato esito negativo perche'  non  avevano  rilevato  il
superamento della soglia di 0.5 g/l come prescritto nell'art. 186 co.
2 lett. a) C.d.S.; 
    Fissata l'udienza di comparizione l'Amministrazione si costituiva
in giudizio, depositando gli  atti  di  accertamento  eseguiti  dalla
pattuglia  dei  carabinieri  e  chiedendo  il  rigetto  del  proposto
ricorso, in quanto, a suo  avviso,  il  provvedimento  impugnato  era
stato correttamente adottato anche  alla  stregua  del  principio  di
diritto affermato dalla Suprema Corte di Cassazione nella sentenza n.
12904/2010. 
    All'udienza  del  24.09.2010  compariva  solo  il  difensore  del
ricorrente insistendo per la sospensione dell'ordinanza impugnata. 
    Tale istanza veniva rigettata perche'  appariva  priva  di  fumus
boni iuris anche alla luce del citato principio di diritto  enunciato
dalla  Suprema  Corte  di  Cassazione  e  la  causa  veniva  rinviata
all'udienza del 12.11.2010 per la precisazione  delle  conclusioni  e
per la discussione. 
    All'udienza del 12.11.2010 il difensore del  ricorrente  eccepiva
l'incostituzionalita' dell'art. 186 comma 2 lett. a) C.d.S.  rispetto
agli artt. 2, 3, 117 Cost. ed artt. 7  e  8  della  CEDU  nonche'  al
fondamentale principio di ragionevolezza e di certezza del diritto. 
    Tale eccezione non pare manifestamente infondata ed e'  rilevante
ai fini del giudizio per le seguenti ragioni di diritto: 
    1) I presupposti e le condizioni dell'azione. 
    La controversia trae origine, come gia' detto,  dall'impugnazione
dell'ordinanza n. 3674/2010 con cui il Prefetto di  Udine,  in  esito
alla contestata violazione dell'art. 186,  2°  comma,  lett.  a)  del
C.d.S., ha sospeso la patente di guida del Sig. M. per la durata di 3
mesi. 
    Sul piano processuale si precisa che il  ricorso  presentato  dal
ricorrente si rivela tempestivo e,  quindi,  suscettibile  di  essere
valutato nel merito  da  parte  del  Giudice  a  quo,  quale  giudice
competente per territorio e per materia (Cass. civ. sez un 07.05.1998
n. 4629) e, quindi,  legittimato  ai  sensi  dell'art.  23  della  L.
87/1953 a sollevare la questione di non manifesta incostituzionalita'
della norma di legge di cui all'art. 186 2° comma lett. a) C.d.S. 
    2) L'oggetto del contendere. 
    Dopo il deposito in giudizio degli atti di accertamento  compiuti
dalla Pattuglia dei Carabinieri la questione  ancora  controversa  e,
quindi, da decidere riguarda la rilevanza o  meno  dei  centesimi  di
grammi/litro nella misurazione del tasso alcolemico. 
    Il ricorrente ha, infatti, affermato di non aver  violato  l'art.
186, 2° comma lett. a) del C.d.S. per non  aver  superato  la  soglia
minima di 0,5 g/1 stabilita dal  legislatore,  l'Amministrazione  ha,
invece, sostenuto che il tasso alcolemico di 0,59 g/1, come accertato
dai Carabinieri,  supera  la  soglia  minima  di  legge  invocando  a
sostegno della propria tesi il principio di diritto  affermato  dalla
Suprema Corte di Cassazione nella sentenza 3 marzo - 6 aprile 2010 n.
12904  e  in  forza  del  quale  ai   fini   della   configurabilita'
dell'illecito contestato assumono  rilevanza  anche  i  centesimi  di
grammo/litro. 
    3) Rilevanza della questione di costituzionalita' nel giudizio  a
quo. 
    La res litigiosa, cosi' come lucidamente esposta da  entrambe  le
parti, postula la necessaria applicazione del  principio  di  diritto
enunciato nella citata sentenza n. 12904/2010 della Suprema Corte  di
Cassazione  ed  invocato  dall'Amministrazione   resistente   essendo
predicabile la medesima ratio decidendi. 
    Nella citata sentenza la Corte di Legittimita' ha  affermato  che
il legislatore, nel prevedere all'art. 186 del C.d.S. un  trattamento
sanzionatorio differenziato a seconda del valore del tasso alcolemico
in concreto accertato, non  avrebbe  negato  rilevanza  alla  seconda
cifra decimale ovvero ai centesimi di grammo/litro. 
    Per il  Giudice  di  Legittimita'  «Una  diversa  interpretazione
sarebbe   infatti   contraddittoria   rispetto   all'intenzione   del
legislatore,  sottesa  all'intervento  riformatore,  di  arginare  il
fenomeno della guida in stato di alterazione correlata all'assunzione
smodata   di   alcolici,   e   finirebbe,   in    modo    altrettanto
contraddittorio, con l'innalzare i valori  soglia  di  un  decimo  di
grammo/litro per ciascuna delle  fattispecie  incriminatrici  di  cui
alla lettera a), b), e c)». 
    Questo  Giudice  ritiene,  in  adesione  all'insegnamento   della
Suprema Corte  di  dover  applicare  alla  fattispecie  concreta,  il
principio di diritto in forza del quale  l'art.  186,  2°  comma  del
C.d.S. nel prevedere le tre distinte ipotesi sanzionatorie ha  inteso
attribuire  rilevanza  giuridica  non  gia'   ad   una   sola   cifra
«significativa», ma a due come spiegheremo funditus infra. 
    Il Giudice remittente ritiene, inoltre, che la regola di  diritto
affermata dalla Suprema Corte  di  legittimita'  costituisca  l'unico
parametro utilizzabile  per  decidere  la  presente  controversia  in
stretta osservanza della novella introdotta con l'art. 360 bis  n.  1
c.p.c. 
    4) Il dinamico quadro normativo di riferimento. 
    In questi ultimi anni  l'eccezionale  produzione  legislativa  e'
stata caratterizzata da un cambiamento piu' veloce della  luce  cosi'
da minare  il  fondamentale  principio  della  certezza  del  diritto
attraverso cui si esplica la  funzione  primaria  di  un  democratico
ordinamento giuridico che e' quella di  garantire  regole  certe  per
assicurare una convivenza civile e pacifica. 
    Come e' noto le disposizioni  di  legge  contenute  nel  D.  Lgs.
30.04.1992 n. 285 (C.d.S.) e che disciplinano le  contravvenzioni  di
guida sotto  l'influenza  dell'assunzione  di  alcol  e  di  sostanze
stupefacenti hanno subito, in  quattro  anni,  quattro  modifiche  in
sincera applicazione della legge del contrappasso. 
    Il  decreto  legge  03.08.2007  n.  117,  entrato  in  vigore  il
04.08.2007, aveva rivisto, in genere inasprendolo e  diversificandolo
in tre distinte fasce in ordine  crescente  di  gravita',  l'apparato
punitivo delle fattispecie contravvenzionali stabilite dall'art.  186
C.d.S. 
    Nella prima fascia, quella relativa alla violazione  meno  grave,
(tasso alcolemico superiore a 0.5 g/l e non superiore a 0.8 g/l),  la
contravvenzione era sanzionata con l'ammenda da 500 a  2000  € e  con
l'arresto fino ad un mese, nonche'  con  la  sanzione  amministrativa
accessoria della sospensione della patente di guida da  3  a  6  mesi
(comma 2 lett. A). 
    La Legge di conversione 02.10.2007 n. 160 muto' detto trattamento
sanzionatorio sopprimendo la previsione  dell'arresto  e  consentendo
cosi' l'estinzione per oblazione ex art. 162 c.p. 
    Ora la medesima fattispecie e' stata depenalizzata  a  far  tempo
dal 30 luglio 2010 come espressamente previsto  dall'art.  33  co.  4
della Legge n. 120/2010 anche per altre norme concernenti  gli  artt.
186, 186-bis, 187 attraverso la sostituzione  della  sanzione  penale
con quella amministrativa del pagamento di una somma da € 500 a 2000,
oltre alla sanzione amministrativa accessoria della sospensione della
patente di guida da 3 a 6 mesi (comma 2 lett. A). 
    La novella del  luglio  2010,  nella  parte  in  cui  dispone  la
depenalizzazione dell'ipotesi gia' contemplata nell'art. 186 2° comma
lett.a C.d.S. in illecito amministrativo, puo'  trovare  applicazione
nella fattispecie concreta a mente dell'art. 2 c.p. 
    Detta depenalizzazione, pero',  non  ha  comportato  l'automatica
caducazione   della   sanzione   amministrativa   accessoria    della
sospensione della patente di guida su cui  questo  Giudice  e'  stato
chiamato a pronunciarsi. 
    Sul  punto  il  legislatore  ha  omesso  di   dare   disposizioni
transitorie o di  diritto  intertemporale,  ma  e'  indubbio  che  la
condotta ascritta al ricorrente abbia mantenuto la sua illiceita' sul
piano  amministrativo   e,   quindi,   il   giudizio   a   quo   deve
necessariamente concludersi con una decisione sull'illiceita' o  meno
di detta condotta. 
    5) La norma da scrutinare. 
    Come sopra precisato,  il  Giudice  a  quo  deve  necessariamente
pronunciarsi in ordine alla reale ed effettiva violazione della norma
di cui all'art. 186 co. 2 lett. a) C.d.S., ancorche', medio  tempore,
la fattispecie  considerata  sia  stata  degradata  a  mero  illecito
amministrativo. 
    Non va sottaciuto che la  novella  del  2010  non  ha,  peraltro,
minimamente   inciso   sugli   elementi   costitutivi   dell'illecito
amministrativo come disciplinato dal citato art. 186 C.d.S. i1  quale
ora, al 2° comma lett.  a)  testualmente  recita:  «Con  la  sanzione
amministrativa del pagamento di  una  somma  da  € 500  ad  €  2.000,
qualora sia stato accertato un  valore  corrispondente  ad  un  tasso
alcolemico superiore a 0.5 e non superiore a  0.8  grammi  per  litro
(g/1). 
    All'accertamento   della   violazione   consegue   la    sanzione
amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da
3 a 6 mesi». 
    Dalla piana formulazione  di  detta  norma  e'  indubbio  che  il
Giudice a quo, essendo stato chiamato a giudicare della  legittimita'
della sanzione della sospensione della patente  di  guida,  non  puo'
prescindere dalla previa valutazione della legittimita', o meno della
condotta in  concreto  ascritta  al  ricorrente  alla  stregua  della
disposizione di cui al citato articolo 186 C.d.S. 
    Cio'  vale  a  dire  che  per  definire   il   processo   occorre
necessariamente individuare la regola  di  diritto  applicabile  alla
fattispecie concreta, ovvero affermare  o  negare  la  rilevanza  dei
centesimi ai fini della determinazione del superamento  della  soglia
minima stabilita dal legislatore. 
    Come sopra lumeggiato, la Suprema Corte di  Cassazione  ha  avuto
gia' modo di  pronunciarsi  su  questa  specifica  questione  con  la
sentenza n. 12904/10  invocata  dall'Amministrazione  affermando  che
anche  i  centesimi  assumono  rilevanza  giuridica  ai  fini   della
configurabilita' dell'illecito. 
    Tale principio di diritto e' stato confermato dalla Suprema Corte
di  Cassazione  anche  con  la  sentenza  n.  32055  pronunciata   il
18.08.2010 e cioe' dopo l'entrata in vigore della novella  introdotta
con la L. 120/2010. 
    E' evidente che la norma di diritto applicabile alla  fattispecie
concreta e' quella affermata  dalla  Suprema  Corte  di  Legittimita'
quale norma di diritto vivente  cui  il  Giudice  a  quo  ritiene  di
doversi  conformare,  visto  che  l'art.  360-bis  n.1  ha   previsto
l'inammissibilita' dei ricorsi quando il provvedimento  impugnato  e'
stato assunto in  conformita'  alla  giurisprudenza  del  Giudice  di
Legittimita'. 
    In altri termini, le decisioni della Corte di Legittimita' per il
Giudice di Merito non  rappresentano  solo  un'autorevole  precedente
giurisprudenziale  da  tenere  in  debita  considerazione,   ma   uno
stringente vincolo di interpretazione del diritto  a  detrimento  del
fondamentale principio  dell'indipendenza  del  Giudice  sancito  dal
combinato disposto di cui agli artt. 101, 2° co e 104 1° co Cost. 
    Ora, a prescindere da ogni considerazione in ordine all'incidenza
delle sentenze della Suprema Corte sull'indipendenza del  giudice  di
merito, e' indubbio che il principio di diritto, ancorche'  affermato
solo in due sentenze, possa dar luogo alla cosiddetta  creazione  del
diritto vivente sia perche' mancano precedenti contrari e sia perche'
la  nuova  disposizione  dell'art.  360-bis  c.p.c.,  ha   attribuito
maggiore valore vincolante alle singole pronunce della Cassazione. 
    In verita', le sentenze di segno contrario sono state pronunciate
solo dai giudici di merito, tra cui si  segnala  quella  della  Corte
d'Appello di Trieste dd. 21.04.2008 che ha escluso la  rilevanza  dei
centesimi. Appare plausibile ritenere, pertanto, che il principio  di
diritto affermato dalla Suprema Corte  nelle  citate  sentenze  abbia
introdotto nel nostro ordinamento la regola  di  diritto  vivente  in
forza della quale l'illecito amministrativo di cui all'art.  186,  2°
co., lett. a) del C.d.S. sussiste ogni qualvolta venga  accertato  un
tasso alcolemico uguale o superiore alla soglia di 0,51 g/1  anziche'
di 0,5 g/l. 
    Sul punto la Corte delle Leggi, ha piu' volte affermato (sent. n.
167/1976; 34/1979; 88/1977; 254/1992) l'ammissibilita' del vaglio  di
costituzionalita' delle regole di diritto vivente per cui  si  rivela
plausibile la presente ordinanza di remissione ex art. 23 1. 87/53. 
    6) Impossibilita' di un'interpretazione adeguatrice. 
    L'insegnamento del Giudice delle  leggi,  secondo  cui  prima  di
attivare il procedimento di annullamento di una disposizione di legge
occorre accertare se sia possibile una interpretazione conforme  alle
norme costituzionali confligenti, e' stato applicato  dal  giudice  a
quo, ma non ha sortito l'esito sperato. 
    Infatti, la  specificita'  della  norma  di  diritto  vivente  da
scrutinare non lascia margini ad interpretazioni  diverse  in  quanto
riguarda l'applicazione  di  uno  specifico  criterio  aritmetico  di
misurazione del tasso alcolemico ovvero quello in centesimi  anziche'
quello in decimi previsto dalla disposizione di legge  e  che  indica
come cifra «significativa» solo quella decimale. 
    In realta' l'accertamento riguarda la  legittimita'  o  meno  del
criterio aritmetico stabilito dalla Cassazione per la misurazione del
tasso alcolemico. 
    7) Il contenuto della norma  di  diritto  vivente  da  scrutinare
rispetto agli artt. 2, 3 e 32 Cost., al principio di ragionevolezza e
certezza del diritto, 117 Cost. in relazione agli artt.  7,  8  CEDU.
Preliminarmente, si ribadisce che  la  norma  di  cui  si  chiede  lo
scrutinio di costituzionalita', riguarda  non  gia'  la  disposizione
dell'art. 186, 2° comma lett. a) del C.d.S.  nella  sua  formulazione
letterale, ma la norma di diritto vivente creata dalla Suprema  Corte
di Cassazione, con le sentenze n.ri 12904/2010 e 32055/2010. 
    Nelle citate sentenze viene affermata la  regola  di  diritto  in
forza  della   quale,   ai   fini   dell'accertamento   dell'illecito
amministrativo e dei reati rispettivamente contemplati  alle  lettere
a),  b)  e  c)  del  2°  comma  del  citato  art.  186,  sono   cifre
«significative»  non  solo   quelle   decimali,   ma   anche   quelle
centesimali. 
    Tale regola assume valore determinante ai fini della  misurazione
del tasso alcolemico e, pertanto, si rivela decisiva nel  giudizio  a
quo perche' da essa dipende  l'affermazione  dell'  illiceita'  della
condotta ascritta  al  ricorrente.  Infatti,  in  applicazione  della
regola di diritto enunciata dalla Suprema  Corte  di  Cassazione,  il
giudice remittente deve necessariamente affermare la  responsabilita'
del ricorrente. 
    Tale regola, pero', non pare  conciliabile  con  le  regole  e  i
principi di rango costituzionale  che  qui  di  seguito  passiamo  ad
evidenziare: 
    L'art. 2 Cost. riconosce  e  garantisce  i  diritti  fondamentali
dell'uomo mentre l'art. 3 Cost. assegna alla Repubblica il compito di
garantire la liberta' e l'uguaglianza di tutti i cittadini rimuovendo
quei limiti che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. 
    L'art. 32 Cost. tutela la salute come  fondamentale  diritto  sia
dell'individuo che dell'intera collettivita'. 
    Alla stregua  delle  citate  norme  deve  essere  ragionevolmente
valutato il fenomeno dell'assunzione di sostanze  alcoliche  che  non
e', ex se, nocivo e/o illecito. 
    Infatti, e' un dato di comune esperienza che la  somministrazione
di alcolici - vino, birra e liquori - viene  effettuata  generalmente
in  locali  pubblici  cioe'   muniti   di   regolare   autorizzazione
amministrativa da parte della P.A. e, quindi, non e'  plausibile  che
la  somministrazione  e  la  conseguente  assunzione  da  parte   dei
cittadini (esclusi  i  minori)  possa  iscriversi  tra  le  attivita'
vietate e/o illecite, visto l'espresso placet manifestato dalla  P.A.
con il rilascio delle relative licenze. 
    Per la verita', l'assunzione garbata di sostanze alcoliche, anche
se giornaliera, esplica benefici effetti sulla salute  e  soprattutto
sul sistema cardio-vascolare, senza contare  l'effetto  antiossidante
del vino rosso come ormai riconosciuto in campo medico-scientifico. 
    Da  quanto  sopra,  discende  che  rientra  tra   i   primari   e
fondamentali diritti della persona quello di decidere se  assumere  o
meno modiche quantita' di sostanze alcoliche per garantirsi  un  buon
sistema cardiocircolatorio a tutela della  propria  salute  (art.  32
Cost.) e migliorare la propria qualita' di vita (art. 2, 3 Cost.). 
    E' un dato altresi' pacifico che solo la  smodata  assunzione  di
sostanze alcoliche e' nociva  alla  salute  ed  incide  negativamente
sulle capacita' di guida in ragione del peso corporeo di ogni singolo
soggetto  ed  e'  tale  comportamento  che  puo'  essere  considerato
illecito. 
    Il legislatore, con le  specifiche  norme  contenute  nel  codice
della  strada  ha,  giustamente  e  correttamente,   introdotto   una
disciplina  di  rigore  volta  a   garantire   la   sicurezza   della
circolazione e l'incolumita' della persona, ma in misura  graduata  e
cioe'  proporzionata  all'incidenza  dell'assunzione  delle  sostanze
alcoliche sulla capacita' di guida. 
    E' indubbio che in materia il legislatore ordinario  e'  titolare
di  una  discrezionalita'  che  puo'  essere  censurata  solo  se  in
contrasto con i canoni della ragionevolezza e  si  riveli  del  tutto
arbitraria. 
    La disposizione contenuta nel 2° comma dell'art. 186,  nella  sua
formulazione letterale, non lascia dubbi di sorta sul  fatto  che  il
legislatore abbia correttamente, da  un  lato,  creato  tre  distinte
fasce in ordine crescente di gravita'  e,  dall'alto,  utilizzato  un
unico criterio di misurazione del tasso alcolemico. 
    Infatti, in tutte le tre fasce contemplate  nell'art.  186  comma
lettere a), b) e c) fa espresso riferimento alle sole cifre decimali,
cosi' dimostrando di aver voluto attribuire rilevanza «significativa»
solo ad una cifra e cioe' solo a quella  decimale  in  considerazione
dei  margini  di  incertezza  derivanti  dalla  misurazione  mediante
alcoltest. 
    Tale scelta legislativa si rivela, poi, coerente con la specifica
disposizione dell'art. 379 del Regolamento di attuazione  del  C.d.S.
che ha previsto due misurazioni a  distanza  di  5  min.  proprio  in
considerazione dell'imprecisione del test utilizzato. E' evidente che
se il sistema di misurazione mediante alcoltest fosse stato  ritenuto
dal legislatore  esente  da  incertezze,  certamente  il  legislatore
medesimo non avrebbe stabilito due  prove  e  non  avrebbe,  inoltre,
indicato come cifre significative solo  quelle  decimali  proprio  in
perfetta coerenza  con  il  grado  di  imprecisione  dello  strumento
utilizzato. 
    Il riferimento esclusivo alle cifre decimali  sta  a  significare
che il legislatore ha voluto consapevolmente  negare  rilevanza  alle
cifre successive e cioe' a quelle centesimali.  Ne',  del  resto,  e'
opinabile  ritenere  che  il  legislatore  non  fosse  in  grado   di
apprezzare  la  diversa  regola  di  misurazione  in  decimi  e/o  in
centesimi. 
    Le superiori considerazioni evidenziano  come  un'interpretazione
logico-letterale della disposizione contenuta nell'art. 186 2°  comma
lettera a), b) e c) C.d.S. rende il pacchetto sanzionatorio  coerente
con il grado d'incertezza della  misurazione  alcolemica,  mentre  la
regola  di  diritto  vivente,  oggetto   di   denuncia,   si   rivela
incompatibile con il canone della ragionevolezza perche' finisce  con
porre a confronto grandezze diverse, ovvero tra loro non comparabili;
infatti non e' ragionevole, da un lato, utilizzare uno  strumento  di
misurazione impreciso, qual e' l'alcoltest e, dall'altro,  pretendere
di eliminare tale incertezza utilizzando grandezze di misura  precise
come le cifre centesimali. 
    La regola di diritto vivente censurata, oltre  ad  introdurre  un
criterio   di   misurazione   del   tasso   alcolemico    palesemente
irragionevole, perche' utilizza  grandezze  di  misurazione  diverse,
introduce un sicuro vulnus al principio della certezza del diritto. 
    Infatti, il testo letterale della disposizione  di  cui  all'art.
189 2° comma lett. a) C.d.S.  non  lascia  dubbi  sul  fatto  che  il
legislatore   abbia   utilizzato,   come   soglia   minima   per   la
configurabilita' dell'illecito, la cifra decimale di 0.5,  mentre  la
regola di diritto vivente affermata dalla Suprema Corte introduce  la
diversa soglia di 0.50 e, quindi, l'illecito, come nel caso in esame,
sussiste gia' con 0.51. 
    La  Corte  di  Cassazione  ha  posto  a  fondamento   della   sua
affermazione  l'assunto  secondo  cui,  diversamente   opinando,   si
finirebbe  col  violare  la  ratio  legis   «sottesa   all'intervento
riformatore  di  arginare  il  fenomeno  della  guida  in  stato   di
alterazione  correlata  all'assunzione  smodata  di  alcolici»  e  si
finirebbe in modo contraddittorio «con l'innalzare i valori soglia di
1 decimo di gr/1 per ciascuna delle fattispecie incriminatrici di cui
alle lettere a), b) e c)». 
    Tale ratio decidendi risulta, ora,  smentita  dalla  novella  del
2010 con cui il legislatore ha stabilito  la  depenalizzazione  della
fattispecie contemplata alla lett. a) oggetto  del  giudizio  a  quo,
cosicche' non pare  piu'  invocabile  il  principio  del  rigore  per
attribuire al testo scritto un maggior valore sanzionatorio. 
    La comparazione del testo letterale  della  disposizione  di  cui
all'art. 189, 2° comma lett. a) con  la  norma  di  diritto  vivente,
creata dalla Suprema Corte di Cassazione, rende evidente una frattura
logico-giuridica perche' finisce con l'attribuire al testo scritto un
significato diverso da quello  reso  palese  facendo  ricorso  ad  un
criterio di ermeneutica interpretativa coerente con  il  disposto  di
cui  all'art.  12,  1  comma  delle  Preleggi.  In   altri   termini,
l'applicazione della norma di diritto vivente introduce un alto grado
d'incertezza nell'applicazione della citata disposizione scritta  si'
da violare proprio  il  fondamentale  principio  della  certezza  del
diritto. 
    In limine non va sottaciuto che  l'applicazione  della  norma  di
diritto vivente in esame comporta il  riconoscimento,  in  capo  alla
Corte di Cassazione, non gia' del solo  potere  di  interpretare,  in
ultima  istanza,  le  disposizioni  di  legge,  ma  anche  quello  di
modificarle in aperta violazione del disposto di cui all'art. 101, 2°
comma Cost. 
    E' indubbio che la regola di diritto vivente, cosi'  come  creata
dalla Suprema Corte di Cassazione con le citate  sentenze,  confligge
sia con il testo scritto della disposizione di  cui  al  citato  art.
189, 2° comma lett. a), sia con la ratio legis espressa in  modo  non
equivoco dalla novella del 2010. 
    Da ultimo, la norma di diritto vivente sottoposta  al  vaglio  di
costituzionalita' pare in contrasto anche con il  combinato  disposto
di cui agli artt. 7 e 8 della CEDU che  garantiscono  e  tutelano  la
vita privata ovvero le scelte di  ogni  persona  che  non  minino  la
sicurezza nazionale, l'ordine pubblico, il benessere economico, ecc. 
    E' evidente che l'assunzione  di  sostanze  alcoliche,  che  come
detto non e' vietata se non supera la soglia  di  0.5,  e  come  tale
costituisce piena esplicazione della  «vita  privata»  meritevole  di
tutela ex artt. 2, 3 Cost. e 8  CEDU,  non  puo'  essere  considerata
illecita alla stregua della norma di  diritto  vivente  creata  dalla
Suprema Corte di Cassazione facendo ricorso ad  una  ratio  decidendi
incompatibile con la ratio legis resa palese dalla novella del 2010.